14 gennaio 2024 - II Domenica dopo l'Epifania

Omelie festive

Giovanni 2,1-11


1. A Cana 'si manifesta' la gloria del Signore

Abbiamo celebrato l’Epifania secondo Matteo: i Magi;
quella secondo Marco e Luca (il Battesimo del Signore);
ora ascoltiamo San Giovanni che ci narra della manifestazione della gloria del Signore Gesù
alle nozze di Cana, prefigurazione del dono sponsale di sé all’umanità nel suo sangue sulla croce.
Infatti il rimprovero a Maria: “Donna, non è ancora giunta la mia ora” allude proprio a questo.
Il tema del banchetto era già noto all’Antico Testamento (cfr. Is 25 prima lettura),
come compimento dei tempi inaugurati dal Messia,
dove Dio eliminerà la morte e asciugherà le lacrime del nostro dolore.

2. Il libro dei “segni”

Questo racconto di nozze è strano: lo sposo non è nominato,
il maestro di tavola ha fallito il suo compito. Tutto dice che l’attenzione va posta su Gesù,
è lui lo sposo che trasforma la vita annacquata dell’uomo,
l’esistenza umana che conosce come esito la morte
in vita, in gioia, simboleggiata dall’ebbrezza del vino buono.
Ma per far questo deve affrontare la sua ‘ora’: dare la vita per noi.
Giovanni apre così i suoi primi 12 capitoli chiamati dagli studiosi: il libro dei segni.
Questo perché l’evangelista non usa la parola miracolo, ma segno.
Il miracolo concentra l’attenzione sul fatto in sé e provoca il desiderio di avvicinare Gesù
per ottenere benefici terreni (molti legittimi come la salute);
il segno invece pone l’accento su chi lo opera, il Signore,
e dice che Egli fa questo per indicare il molto di più che può e vuole fare per noi:
insegnarci a vivere da uomini, così come Dio ci ha pensati creandoci (fratelli tutti)
e dare una speranza che va oltre la morte, a cui nessuno sfugge per la nostra umana natura.

3. I nostri “segni”

Con questa certezza che viene dalla nostra fede, siamo chiamati anche noi
a porre segni di speranza, di affidabilità, di presenza significativa, di prossimità amicale,
che con “coraggio creativo” sappiano sfruttare ciò che di positivo e di possibile esiste
anche in mezzo alle crisi del nostro tempo.
Il rito ambrosiano pone le nozze di Cana come uno dei tre “chiari segni salvifici”,
dopo la stella dei magi e lo Spirito che scende su Gesù al Battesimo.
Anche da noi «viene a mancare il vino», che in tutta la Bibbia è simbolo di gioia e di amore.
Quando la vita si trascina stancamente, occorre qualcosa di nuovo:
Gesù stesso, volto d'amore di Dio.
Il vino che viene a mancare è un non-so-che di energia, di passione, di entusiasmo, di salute
che dia sapore e calore alle cose. Come uscirne?
Primo: «Qualunque cosa vi dica, fatela».
Fate il suo Vangelo; rendetelo gesto e corpo;
tutto il Vangelo, il consiglio amabile, il comando esigente, la consolazione, il rischio.
E si riempiranno le anfore vuote della vita.
Secondo: «Riempite d'acqua le anfore».
Solo acqua posso portare davanti al Signore, eppure la vuole tutta, fino all'orlo.
E quando le sei anfore della mia umanità, dura come la pietra e povera come l'acqua,
saranno offerte a Lui, colme di ciò che è umano e mio, sarà Lui a trasformare
questa povera acqua nel migliore dei vini, immeritato e senza misura.
A Cana, la situazione di povertà non è un ostacolo, ma un'opportunità per il Signore.
Dio viene anche per me che non ho meriti;
viene come festa, come gioia, come vino buono...
 

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